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“Cosa era Morra in antico, nessuno sa. E mi pare che quando si pretende a gloriose origini, la vanità avrebbe dovuto avere un po’ di cura a conservare quelle memorie”. Queste famose parole furono scritte da Francesco De Sanctis nel 1876. Si potrebbe ben dire, a tal proposito, che in 142 anni di storia sia cambiato, purtroppo, ben poco. Un paese che confonde spesso il ricordo con la memoria, il campanilismo con l’identità, la commemorazione con la valorizzazione, il conservare con il tutelare. Un luogo, una comunità che commette questo tipo di errori ha un solo destino: rimanere senza la propria identità, essere assorbita, perdere il proprio collante sociale, disgregarsi, scomparire.

Ma andiamo con ordine citando, come mio solito, dei punti sui quali riflettere.

1. Il sentimento d’identità

Nel 2001 a Genova una vera e propria guerriglia vide l’ingresso nella cultura italiana dei ‘no-global’. Da quel momento in poi siamo entrati nel mondo della globalizzazione, del tutto connesso, anzi, iper-connesso. Questo ha fatto scaturire, sia a livello generale che particolare, un sentimento di ‘ritorno alle origini’. Anche Morra non si è sottratto da questo: spesso il campanilismo è venuto fuori in molte occasioni, in difesa di un sentimento di appartenenza che, però, scende in un non ben definito tifo che non si fonda su una cultura della ‘Memoria’.

gita turistica
Un momento di una gita turistica. Da notare il ‘cratere a colonette’ della collezione museale dell’Antiquarium di Morra. Foto Emanuela Bisanti

Questa ‘identità’, quindi, non si struttura sulla conoscenza di sé stessi, ma quanto più a definirsi a priori migliori di altri, proprio come diceva già De Sanctis, sempre nel “Un viaggio elettorale”, “[…] Questa boria locale annunzia già che la virtù principale di quegli abitanti non è la modestia […]”. De Sanctis però, in questo scritto si rifà poi ad un sentimento di orgoglio, oggi scomparso: non c’è l’orgoglio di ‘appartenere’ alla popolazione morrese, ma c’è la presunzione e la supponenza di non poter essere criticati da chi non fa parte di questa comunità. E gli esempi non mancano. Ciò, quindi, non crea un’identità, ma semplicemente crea una distorta visione di appartenenza ad un posto, facendo dell’etno-centrismo il proprio motto principale. Questo tipo di atteggiamento, protratto nel tempo porta ad una sola conseguenza: l’isolamento.

2. Il ricordo e la Memoria

Nell’antica Grecia la Memoria era affidata ad una ninfa, Mnemosine, figlia di Urano, dio del cielo, e Gea, dea della terra, nata, quindi, dall’unione di due delle principali divinità del pantheon ellenico. Questo fa capire quanta importanza i nostri avi dessero alla memoria generata dal ricordo se, tra i tanti fiumi dell’Ade, quello più terrificante, era proprio Lete, dalle cui acque dovevano abbeverarsi i defunti per far cadere la propria memoria nell’oblio. Persino tra i nostrani romani la condanna più pesante era la ‘damnatio memoriae’. L’importanza per la memoria rimane assolutamente un fattore principale anche oggi, basti pensare al culto della personalità, anche in politica. Ma qual è la differenza tra ‘memoria’ e ‘ricordo’ e cosa questo ha a che vedere con Morra?

Ricordo, letteralmente ‘rimandare al cuore’, ha un piano di azione personale, legato alla sfera dei sentimenti. Il ricordo parte da un input, un’epifania, un determinato oggetto che crea un’immagine mentale. Un esempio ‘paesano’ è stata la mostra “Morra ieri ed oggi”. L’attività svolta è stata lodevole, partecipata, ed ha coinvolto ogni sfera della piccola società morrese. Tutti, o quasi, hanno ritrovato una loro foto, o quella di un parente. Tutti hanno potuto raccontare un aneddoto su questo o quel personaggio. Ogni foto ha fatto scaturire un sentimento di sincera passione e mancanza dei tempi che furono. Questo sentimento spesso è trasceso nel “si stava meglio quando si stava peggio”, ma questo tipo di prospettiva ha più a che fare con la mancanza della giovinezza ormai perduta, che con una reale constatazione razionale e comparativa tra epoche, spesso meccanismo del tutto anacronistico. Detto ciò però appare chiaro come questo esempio faccia capire cos’è un ‘ricordo’, e cioè un momento nel quale, grazie ad uno stimolo, si ha la possibilità di far materializzare nella propria mente una determinata azione nel passato, e far scaturire dentro di sé sentimenti sia positivi, sia negativi, sentimenti e immagini da condividere con chi, in quel momento, partecipa all’azione.

Ben diverso il discorso della ‘memoria’. Già l’etimologia della parola ci chiarisce la differenza di significato rispetto a ‘ricordo’. La memoria ha molteplici significati a seconda del contesto nel quale questo termine è usato, per quanto riguarda l’ambito che stiamo trattando, il termine ha come valenza quello di “conservare” qualcosa, dal livello biologico, passando per quello culturale fino ad arrivare agli ambiti informatici. Conservare, quindi, ma, soprattutto, tramandare, trasmettere. La memoria ha quindi una funzionalità etica, a livello culturale, e cioè quella di costruire la soggettività dell’individuo ma all’interno della collettività. Faccio un esempio. La giornata della memoria ha un valore pedagogico individuale, e cioè far riflettere la persona su quello che l’essere umano può fare, ma va oltre il livello singolare per farsi, appunto, memoria collettiva per non ripetere gli stessi errori. A questo punto possiamo comprendere che esempi di ‘memoria’, a Morra, sono pochi, se non addirittura quasi assenti. Per dirla in parole semplici: una targa non crea memoria, ma monumentalizza un momento e crea un monumento. La memoria è qualcosa che dovrebbe essere collettiva. Per spiegarlo basta un altro esempio: se io ho un museo archeologico posseggo dei manufatti, ma non ho creato memoria, almeno che io non mi prodighi a fare in modo che quei reperti diventino un pezzo di un ingranaggio che fa diventare partecipe la comunità attraverso un processo di collettivizzazione e, soprattutto, condivisione e presa di coscienza del proprio bagaglio.

In sostanza, riassumendo: un ricordo ha un valore sentimentale, può essere raccontato e condiviso. La memoria ha un valore etico, sia individuale che collettivo. La memoria va costruita e soprattutto tramandata.

3. Le ‘smemoratezze’ morresi

La questione della memoria, per forza di cose, ricade nella gestione degli oggetti e delle attività che questa memoria collettiva conservano e trasmettono. Di solito si riconduce, come già detto, la memoria all’identità culturale di un popolo, e proprio per questa importanza i ‘beni culturali’ rientrano tra i portatori di memoria. Non mi soffermerò ulteriormente tra le svariate etimologie della parola cultura, ma solo a questa ‘materiale’ o ‘immateriale’ riferita alla produzione umana.

frammento ceramico
Uno dei tanti frammenti ceramici dei quali sono ricche le nostre zone di campagna

Per produzione qui intendo ogni attività che abbia, in modo volontario o meno, generato un record all’interno della storia del paese in modo tangibile, inequivocabile e, soprattutto, tramandabile. Tra queste produzioni, a Morra, possiamo trovare: i beni archeologici, i beni librari, i beni archivistici, beni storico-artistici, demo-etno-antropologici, ingegneristici e i beni architettonici. Analizziando alcuni di essi si può capire il perché, ogni tipo di questo Bene, nel nostro paese, non è solo sottovalutato ma spesso, purtroppo, addirittura ignorato se non distrutto.

– I beni archeologici

La Treccani definisce i beni archeologici come una categoria nella quale “rientrano le aree, i musei e gli scavi, caratterizzati da testimonianze, manufatti e segni delle trasformazioni apportate dall’uomo, provenienti dall’abbandono di remoti stanziamenti”. In pratica si tratta di oggetti inanimati che compongono uno strato archeologico e che ci parlano di un passato più o meno remoto. Il passato, senza soluzione di continuità, crea un’identità, ci rende unici ma nella collettività. Proprio guardando al passato ci si può affacciare al futuro.

stemma biondi-morra
Lo stemma Biondi-Morra presente tra i due torrioni all’ingresso del palazzo andrebbe sostituito con una copia e conservato in luogo adeguato per salvaguardarlo dagli agenti atmosferici. Foto Giuseppe Marra

Questi oggetti, chiamati ‘reperti’, vengono prima raccolti, poi studiati ed infine musealizzati. Il tutto per creare un filo conduttore tra chi eravamo e chi siamo, ma non per far scaturire ‘ricordi’ ma per creare un sentimento collettivo, per creare, appunto, memoria. Per fare un esempio: una foto della nostra famiglia ci farà viaggiare con i ricordi, fare un sorriso, ci farà condividere un sentimento, ma per dire, in maniera ‘ufficiale’ agli altri chi siamo, abbiamo bisogno di una ‘carta d’identità’. Ecco che i beni culturali e soprattutto quelli archeologici, compongono la nostra carta d’identità, il nostro passaporto per entrare in contatto con gli altri (ecco la globalizzazione) ma conservando il nostro essere, senza cadere in ‘campanilismi’ perché come requisito il bene culturale ha intrinseco il valore della condivisione. Tornando ai beni archeologici, Morra ha un ‘Antiquarium’ lasciato a sé stesso, non ha un curatore, non ha progettualità e quel che è peggio non c’è una volontà di sviluppo. Il problema, probabilmente, risiede nella mancanza di professionalità adeguate. Oltre ad un museo lasciato in balìa degli eventi (e della polvere), tenuto in piedi dall’opera preziosa di volontari (spesso professionisti) che si prodigano per farlo ‘vivere’, anche le aree archeologiche sono abbandonate, ignorate o, addirittura, distrutte.

Papaloia
La zona di “Papaloia” nella parte morrese, conserva i ‘segni’ di una villa di periodo romano

Qui anche il sentimento paesano, quell’orgoglio desanctisiano, invece di venir fuori e richiedere interventi, si ferma al mero stato della semplice lamentela. Anche qui sarà bene riportare qualche esempio:

Castiglione – mai effettuati studi sistematici

Piano di Tivoli – scavi estensivi mai ripresi

Terre del muro – mancanza di qualsiasi tipo di studio

Papaloia (parte morrese)– assenza di progettualità

Serro Torone – abbandono con conseguente deperimento di tutto il sito archeologico

Vi ho citato solo i casi noti. Mi soffermerei su quest’ultima parola: noti a pochi, quasi pochissimi, la maggior parte dei morresi, amministratori e non, non hanno la minima idea della diffusione, estensione, collocazione ed esistenza di siti archeologici. Persino il tentativo di una ‘mappa archeologica’, intrapreso anni or sono, al quale partecipai anche io, è stato accantonato per la mancanza di interesse.

– Beni librari

La situazione dei documenti librari a Morra è drammatica sotto svariati aspetti: assenze di biblioteche pubbliche attrezzate, mancanza di una reale progettualità al riguardo. Una delle più tremende e selvagge mancanze è quella su De Sanctis: non l’aver pensato, finanziato e costruito, per il bicentenario, una biblioteca desanctisiana ha il valore di un vero e proprio schiaffo all’immagine di un intellettuale di livello mondiale, avendo preferito, come visione prospettica, il riempire il paese di ‘acqua’ e non di ‘libri’. Ancor di più si aggrava questa immagine se si pensa che in pratica non esiste in Italia luogo dove gli studiosi possano ritrovarsi per consultare tutta la bibliografia di o su Francesco De Sanctis.

– Beni storico-artistici ed architettonici

Il tasto dei beni architettonici è dolente. Questi tipi comprendono prevalentemente le strutture di rilevanza storico-artistica. Proprio per la loro natura sono stati pesantemente coinvolti nei sismi passati, ultimo quello del 1980. Purtroppo nessuno ha avuto la lungimiranza di garantire un adeguato restauro di recupero e sopratutto tutelativo. Ed ecco che ci ritroviamo colate di cemento, stucco dappertutto, pitture dai colori fuorvianti. Inutile cercare i colpevoli, bisogna pensare ai risultati: stucco veneziano nel Palazzo (e NON castello) Biondi-Morra, con un inserimento di porte e finestre un tempo in legno massello ed ora in composti di dubbia durevolezza. Inutile poi sottolineare il restauro che vede già numerose infiltrazioni di umidità. Una chiesa Madre intrisa di stucco e di un color giallo che lascia poco spazio ad una memoria medievale. Un centro storico lontano da un valore ‘visivo’ che sia stato tendente ad un recupero di fattezze che richiamassero un impianto pre-sisma o comunque un recupero in chiave turistica. Sulle colate di cemento il nostro paese comunque è tristemente famoso: dallo sgorbio del muraglione di Montecalvario fino alla ormai dismessa Villa comunale, la scelta fatta nel senso architettonico è sempre stata chiara: cementificare fino all’inverosimile, coprire con stucco, tralasciare ogni tipo di senso estetico o comunque storico.

resti murari
I resti dell’assetto murario di Castiglione. Da notare che se si vuol vedere qualcosa di medievale non si deve voltare lo sguardo al Palazzo Biondi-Morra, ma si dovrebbe approfondire lo studio di questo sito. Foto Antonio Maraia

Dubbia quindi rimane la reale volontà negli scorsi decenni di voler preservare o  dare un’impronta che guardasse ad un possibile turismo a Morra: è stato fatto molto per rovinare ed i risultati sono davanti agli occhi di tutti, oggettivi, palesi. Fortunatamente qualche passo in avanti si è fatto con il restauro di Palazzo Molinari, ma deve essere fatto di più soprattutto per mettere in sicurezza ciò che circonda la parte recuperata, e cercare di preservare con tecniche adeguate sia il contenuto in cimeli e documenti del Palazzo, sia gli affreschi restaurati.

– I beni demo-etno-antropologici

Probabilmente i più non sapranno a cosa si riferisca tale denominazione. La definizione è difficile da dare, l’I.i.c.d. dice che “un bene demoetnoantropologico materiale [ma potrebbe applicarsi anche agli immateriali] si riconosce per il fatto di appartenere a una ben individuata tradizione locale: con ciò intendendo che l’esecutore o l’utente di quel bene rappresenta la propria comunità di appartenenza tanto quanto sé stesso e per questo motivo il bene da lui prodotto o usato riflette un più generale modello culturale socialmente condiviso. Il significato attribuito a tali “oggetti” è decodificabile solo all’interno delle comunità che li hanno prodotti, pertanto la compilazione della scheda dovrebbe prevedere il rilevamento o la verifica sul terreno, o almeno uno spoglio delle fonti storico-antropologiche di riferimento”. In pratica si entra, con questo tipo di beni, in quella sfera chiamata ‘tradizione’, ‘costume’, ‘usanza’. Il campo di studio, quello dell’antropologio e dell’etnografia è ampio ma per rendere semplice la comprensione di questi beni, tutelati anche dal Codice dei Beni Culturali, farò due esempi: un bene demoetnoantropologico morrese è sicuramente la cerimonia per la Madonna di Montecastello, studiata anche qualche anno fa da un antropologo. Altro rituale è quello che un tempo apparteneva al culto di santa Lucia, riservato in alcune parti della ritualità alle sole donne, e oggi oggetto di studio. Come si può capire sono beni particolari, spesso neanche ci si accorge che siano dei veri e propri oggetti di studio, ma questo ricade nella purtroppo poca conoscenza dell’antropologia culturale. Va da sé che la poca conoscenza porta anche ad un totale non tutela di questi, ad una mancanza di documentazione, a non aver fatto nulla in questi anni per poter fare avvicinare studiosi per salvaguardare tali ricchezze. Purtroppo lo studio degli ‘autoctoni’ è osteggiato per problemi di metodologia scientifica, ma anche l’interessamento nostrano sarebbe ben accetto pur di portare ad una tutela di questi beni.

4. La tutela e la fruizione

Proprio la tutela è un argomento spesso trascurato come detto. Tralasciando i doveri legislativi, nei quali il già citato Codice dei Beni Culturali offre notevoli spunti di riflessione, uno sguardo più ampio ci fa accorgere che la tutela di alcuni Beni è stata tralasciata a vantaggio di altre attività (sic!) mentre la fruizione è stata spesso trascurata e portata avanti solo dal volontariato e dalla volontà di pochi.

La lastra di copertura della tomba di Serro-Torone, non musealizzata e danneggiata nel trasporto nel magazzino comunale

 

Un paese che si dimostri ‘attaccato’ alle proprie radici, prima di tutto cerca di difenderle, nel modo giusto. Ma per difendere qualcosa bisognerebbe conoscerla e studiarla.

L’epigrafe di Calvia, non musealizzata. Foto Giuseppe Marra
La stele all’ingresso del Palazzo Biondi-Morra. La sua posizione la espone ai danni degli agenti atmosferici, danni tra l’altro già verificatisi. Foto Giuseppe Marra
L’epigrafe di Regilla, non musealizzata. Foto Giuseppe Marra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho personalmente contribuito (grande motivo di vanto!) a creare un piccolo percorso turistico a Morra, il peccato maggiore è che questo, oramai rodato e lasciato nelle mani di valide persone, non è stato adeguatamente rinforzato e sponsorizzato. Poche le visite da parte dei morresi, assenza delle istituzioni e persino, duole dirlo, delle scuole. La domanda sorge spontanea: ma come può Morra affacciarsi su un panorama turistico con queste premesse?

Non ci sorprende nemmeno il risultato, compresa la gestione, del bicentenario, per usare un detto morrese: “passato il santo, passata la festa”. Ma su questo scriverò un capitolo a sé.

La valorizzazione del proprio patrimonio fa parte della costruzione dell’identità, della cultura verso il senso di appartenenza e sopratutto di protezione e tutela di quello che si ha, altrimenti diventa becera propaganda. Si può notare come l’assenza di un reale piano turistico non ricada nell’ultima legislatura comunale: guardando i risultati possiamo dire che dal 1948 ad oggi non è mai esistita. Chi ha contribuito a costruire un qualcosa, oggi vanto di molti, sono stati dei morresi i quali hanno anteposto alle proprie aspirazioni personali il bene collettivo, senza riceverne spesso i dovuti meriti, aiutati spesso da professionisti di livello internazionale, per citarne tre: Paolo Peduto, Werner Johannowsky, Heikki Solin. Questo fa capire però una cosa e cioè che un minimo impegno avrebbe potuto far molto in termini prospettici. Oggi ci ritroviamo si con un percorso turistico ma senza fondi, con restauri dubbi, pochissimi reperti da mostrare e un’attrattiva praticamente nulla per gli studiosi soprattutto in ambito universitario. Per concludere, la tutela e la valorizzazione non sono esistite, perché mai è esistito un reale desiderio di voler far nascere un qualcosa dal punti di vista turistico e nemmeno si è aiutato chi, invece, ha provato a farlo, è solo esistito il sentimento di vanità che mostra i propri averi non come reperti, ma come cimeli da mostrare a mo’ di trofeo.

5. Lo stato dei reperti e dei siti

Tralasciando i reperti in teca presso il palazzo Biondi-Morra, molti sono gli oggetti o aree a rischio deperimento: si va da interi siti come Serro Torone, passando per le epigrafi di ‘Regilla’ e ‘Calvia’, arrivando allo stemma dei Biondi-Morra e la stele nel cortile del Palazzo principesco. Lo stato dei siti è a dir poco preoccupante: seguendo una tendenza nazionale, Morra è riuscita a non sfruttare minimamente il suo potenziale archeologico e paesaggistico: potremmo parlare della famosa “Via dell’acqua” o il progetto sui castelli, ma se andiamo nello specifico i siti noti sono abbandonati senza nessuna prospettiva, quelli trovati ex-novo, e lo dico perché partecipante alle spedizioni, sono stati spesso sottaciuti o tenuti nascosti dal gruppo di ricerca del quale facevo parte per due motivi: paura dei tombaroli e tristissima constatazione di assenza di interesse.

frammento invetriata
Un frammento di ceramica invetriata di tipo RMR trovato nel territorio morrese

Eppure il patrimonio straordinario va dai segni preistorici fino a strutture di Età Moderna. L’Antiquarium, come già detto, è lasciato in mano ai volontari, non c’è un curatore reale del museo che faccia in modo che ci sia uno sviluppo della struttura. Sintomatico è anche non l’aver assegnato, a livello amministrativo, a nessuno la delega ai Beni Culturali, questo di fatto rimanda al primo cittadino tale spettanza, ma per me rimane un segnale chiaro del fatto che a Morra, i Beni di questo tipo sono secondari a molte altre questioni, per buona pace di De Sanctis et alii

Conclusioni

Il quadro descritto, in maniera del tutto sintetica, vorrebbe essere sia di monito ma, soprattutto, vorrebbe spronare chi, nel suo piccolo, pensa di poter dare o fare qualcosa. Il sentirsi parte di una comunità, il sentirsi legato ad un territorio dovrebbe partire, come prima cosa, dal conoscerlo in ogni sua parte. Rinunciare alla propria Storia, al proprio passato, non solo ci rende privi di un’anima comune, ma ci presenta assolutamente inermi davanti ad un mondo che ingloba e toglie ogni tipo di soggettività a chi non arrivi preparato a far i conti con la globalizzazione. La rabbia di chi scrive queste righe sta anche nell’aver constatato in anni di attività sul campo, che la Storia di Morra è stata apprezzata ed è stata ammirata da tutti i turisti arrivati nel nostro territorio, da Nord a Sud, e che mai nessuno è andato via senza lasciare un applauso non al narratore, ma al narrato, al Paese, ad un senso di un passato che ci circonda, che ci aspetta, che va tutelato e diffuso. Un senso di appartenenza che andrebbe riscoperto prima che sia troppo tardi. Un convegno non ci salverà dalla barbarie, una lapide non farà nascere amore verso il proprio luogo di appartenenza, il nome di una strada serve a poco se poi, quel personaggio, è assolutamente sconosciuto ai più. Si rifletta su questo, è facile dire “Il mio paese è bellissimo”, “Che bello Morra”, ma se poi ciò non viene trasformato in qualcosa di realmente collettivo, tangibile, non serve a nulla. Sono passati anni oramai da quando in piena notte si redasse la prima proto-guida turistica, in mezzo ci sono state gioie come l’”Home Festival“, migliaia di turisti, pulman, ma anche dispiaceri come l’assenza troppo spesso di chi dovrebbe invece starti vicino e un esempio è stato il non essere riusciti a trovare un briciolo di finanziamento per una pubblicazione fatta da articoli di professionisti proprio sui Beni Culturali morresi. Tanto è stato fatto, da pochi, tantissimo si potrebbe fare, ma solo se a farlo saranno molti. Nel frattempo ripeto quello che dissi già una volta “Morra è un fine, non un mezzo!

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Le foto, dove non indicato, sono di mia proprietà

 

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