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In questi giorni di giochi politici una cosa sta apparendo chiara ai più: il voto non serve, soprattutto se questo non è allineato alle logiche di mercato. Non lo dico da fervente antisistema, anzi, ma credo si dovrebbe fare una seria riflessione sulle ricadute sociali della decisione del presidente Mattarella. L’aver posto il vedo su Savona come ministro implica l’aver ammesso un ragionamento e cioè che un uomo apertamente in conflitto non con l’Europa, ma con un certo tipo di Europa, non può essere tollerato. La giustificazione del presidente è stata semplicistica: non si è voluto dare il potere del ministero più importante ad un uomo con idee no-euro, anche se Savona è già stato ministro, e si è voluto far passare anche la motivazione costituzionale: il presidente non può ricevere dictat sulle nomine. In poche parole non deve essere ricattato. Questo, però, a guardare come sono andate le cose appare quantomeno ipocrita.

Nel momento in cui Salvini pone il veto sulla scelta di Savona, si è instaurato un terrore mediatico, soprattutto in Germania, che ha causato non solo problemi a livello diplomatico, ma soprattutto sui mercati. Lo spread è risalito e Piazza Affari ha avuto pesanti perdite. In contemporanea Mattarella ha iniziato un periodo di confronti che lo hanno portato a dire no alla nomina di Savona. Quindi se da un lato il Presidente non ha ceduto alle imposizioni leghiste, dall’altro ha ceduto alla reazione dei mercati, e nemmeno tanto velatamente a giudicare dal suo discorso. Le giustificazioni possono apparire del tutto coerenti e consone. Ma può un Presidente della Repubblica non tener conto della reazione popolare?

Si sono aperte molte analisi giuridiche in questi giorni ma poche, pochissime, delle conseguenze sulla società di un clima che si sta sempre più estremizzando. Da una parte c’è una sinistra con uno svantaggio organico: l‘esser rimasta indietro e spesso fuori dalla realtà rispetto alla destra populista e radicale. La dimostrazione si può ricercare nell’est europeo.

Qui da tempo oramai si sta instaurando in più Paesi un governo di destra euroscettica e spesso estremista. Uno su tutti è sicuramente quello di Viktor Orbàn.

Ma cosa c’entra questo con la decisione di Mattarella?

Basti pensare che tra un anno i fronti che si scontreranno alle europee saranno due: da un lato quello europeista, capeggiato dal rampante ma poco concreto Macron, e dall’altro quello euroscettico, nazionalista e sovranista capeggiato proprio da Orbàn. In questo panorama appare chiaro che la manovra adottata da Mattarella lo ha fatto cadere proprio nella trappola che voleva Matteo Salvini: creare un casus belli, far saltare l’accordo, farsi passare da vittima e addossare la colpa ai burocrati europei e ai mercati. Non poteva andargli meglio. L’assist principale gli è stato fornito proprio dalla Germania sia grazie ad una stampa quanto mai scellerata nelle sue dichiarazioni, sia dalle reazioni politiche. Gli ultimi sondaggi, per farci un’idea, danno la Lega al 27%, cresciuta di 10 punti percentuali nel giro non di settimane, ma quasi di ore.

Si inizia a capire da ciò che il gesto del presidente Mattarella non dovrebbe essere analizzato nelle sottigliezze del diritto costituzionale, ma sui risvolti a medio e lungo termine sociali ed elettorali. E’ innegabile che il Presidente non ha potuto agire privo di ricatti: da un lato, come già detto quello di Salvini, dall’altro quello dei mercati. Inutile anche arrampicarsi sulle spiegazioni o richiamando questo o quell’articolo della Costituzione. Inutile anche voler pensare, come fa il tedesco Oettinger, membro della Cdu, il partito della Merkel, che le azioni del mercato possano in qualche modo ‘moderare‘ il voto italiano sempre più prossimo. No. Quello che Salvini ha costruito egregiamente è un substrato culturale pronto ad esplodere ed a radicalizzare delle posizioni già molto vacillanti verso un’Europa che ancora spera di poter comandare con l’arma della paura economica. La lezione greca non può essere adottata anche per l’Italia per un motivo fondamentale: la Grecia conta 10 milioni di abitanti, l’Italia più di 60. In più il Bel Paese è il confine che fino ad ora ha tenuto tranquille le frontiere dell’Europa centrale.

Facendo una sommatoria di comportamenti, sembra che ci sia davvero un progetto partito qualche anno fa.

Da una parte alcuni governi europei, forti di un sentimento europeista in diffusione, iniziano a pretendere, giustamente o no, da Stati in difficoltà, delle manovre strutturali. Queste arrivano e dappertutto portano “lacrime e sangue”. Parole come “austerity”, “spread”, “troika”, entrano a far parte del vocabolario comune ed instillano nella gente, lentamente, un’idea che ora esce allo scoperto: l’Europa è una macchina che favorisce pochi a discapito di molti. Che poi l’Ue abbia dei reali problemi con i mercati finanziari e i conseguenti rapporti dialettici nessuno può negarlo, ma qui si va su un altro piano. Infatti la diaspora non si è più incentrata sui mercati, perché questi sono stati affiancati ai governi: e così la Germania è diventata nuovamente “nazista”, l’Unione Europea un “lager”, Bruxelles un covo di “burocrati lobbisti”. Persino associazioni o fondazioni a stampo umanitario ora vengono etichettate come “sovversive ed intente a sostituzioni etniche”.

Chi però ha cavalcato un malcontento popolare non è stata la sinistra, troppo impegnata nel radicalizzare un perbenismo dal sapore esotico e nel decantare la storia ottocentesca (e anche un po’ razzista) del “buon selvaggio”. Chi ha colto e costruito il consenso su questo sentimento sono state le destre populiste.

Tornando per un attimo ai punti che hanno portato a ciò, quindi, da un lato i mercati che speculano, i governi di due paesi in particolare, Francia e Germania visti come dei “nemici dei popoli” dal resto d’Europa. A tutto ciò si è aggiunta una goccia che ha fatto definitivamente traboccare il vaso.

Il lavoro svolto dalla Francia e dagli Stati Uniti in particolare nel destabilizzare tutto il Medio Oriente e la fascia del Nord Africa, in particolare la Libia, ha innescato un esodo di profughi senza eguali. I corridoi aperti sono stati essenzialmente due: quello balcanico e quello italiano. Su quest’ultimo ha prevalso, per ora, una linea non durissima, ma su quello balcanico c’è poco da aggiungere: lì il migrante viene cacciato come un animale, i confini sono fatti da filo spinato e controllati da forze assegnate proprio a questi pattugliamenti. Le violenze sono all’ordine del giorno. Un altro evento si deve aggiungere a tutte queste piccole tessere di un mosaico sempre più chiaro, e cupo. Il 31 marzo la polizia francese crea un caso diplomatico con un evidente abuso di potere perpetrato su territorio italiano. Questo affronto è stato usato dalle forze populiste per rivendicare una mancanza di sovranità nazionale. Nuovamente una nazione che difende l’eurozona, la Francia, crea un assist per chi questa Unione vorrebbe quasi distruggerla. In pratica la Germania, la Troika, i mercati, l’Fmi, la Francia (soprattutto quella di Sarkosy) e gli Stati Uniti di Obama hanno creato la miscela adatta a far incendiare l’atmosfera e a rendere il campo di battaglia assolutamente spianato a chi non ha dovuto far altro che attendere il momento giusto. Momento che nell’est europeo è già arrivato, e dove Bruxelles sta tentando di porvi rimedio nuovamente con un metodo aggressivo: togliendo i fondi. Non un dialogo, non un’analisi per capire, non una seria preoccupazione su un pensiero sempre più comune. Ma un’unica parola: austerità. Si vuole costringere i governi nazionali al dialogo, come si è fatto con la Grecia.

Ora, in Italia, Mattarella ha tolto tutti gli ultimi freni a questo sentimento. Ora la nostra penisola è ufficialmente diventato un Paese euroscettico, sovranista ma, soprattutto, totalmente sfiduciato verso le istituzione democratiche. E’ inutile affrontare la massa con questo o quell’articolo della Costituzione, ed è inutile sperare che Carlo Cottarelli possa far qualcosa. Sarebbe più produttivo fermarsi finalmente ad ascoltare la gente, la popolazione, l’aria che tira e porvi rimedio.

Il centro sinistra nuovamente si sta arroccando nelle sue posizioni, la sinistra più radicale, invece, in questo panorama sta letteralmente scomparendo. Orbàn, intanto, chiama a raccolta da tutto il mondo sovranisti, populisti, strateghi e nazionalisti di qualsivoglia estrazione: da Douglas Murray, a David Engels, dal nostrano Diego Fusaro all’ex capo stratega di Trump,  Steve Bannon. In pratica le migliori menti del neo-populismo mondiale, in un’ottica di preparazione a quella che sarà la battaglia delle europee.

In Ungheria le prime vittorie già si sono avute, basti vedere la fine che sta facendo Soros con le sue fondazioni. La prossima tornata elettorale con tutta probabilità premierà un ‘Orbàn’ italiano, che con un buon margine di certezza sarà Matteo Salvini. E sarà in quel momento che ci si accorgerà che forse le politiche e le dichiarazioni di Savona non erano poi così estreme, che i mercati potrebbero essere messi in secondo piano, almeno per una volta. Sarà in quel momento che il centro sinistra, anzi, la sinistra in generale si renderà conto di essere scomparsa dalle cartine geografiche della politica. Sarà in quel momento che la Germania e la Francia si renderanno conto che forse, meno austerità, e più dialogo, avrebbero evitato di essere circondati da nemici agguerriti e preparati. Sarà in quel momento che l’Europa sarà molto meno unita.

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